Immaginate un’azienda che in un mese paga 1000€ di bollette, senza nessun’altra entrata né uscita: il bilancio aziendale di quel mese riporterebbe un utile di esercizio di -1000,00€. Se invece l’azienda, piuttosto che pagare le utenze, avesse comprato 1000€ di server, sempre senza nessun’altra entrata né uscita, l’utile di esercizio del mese sarebbe stato in pareggio. Come mai?

Banalmente, le due spese sono trattate in modo diverso: le bollette rappresentano un costo di produzione, mentre i server sono considerati un patrimonio aziendale. Alla fine del mese i 1000€ di acqua/elettricità/riscaldamento saranno stati consumati, ma i server saranno ancora di proprietà dell’azienda: concettualmente i 1000€ “liquidi” sono stati convertiti in un’altra risorsa di pari valore (investimento è il termine tecnico :grin:), un po’ come aver spostato i soldi da un conto ad un altro, che quindi non hanno nessun effetto sul calcolo di utili e perdite.

E le persone?

Secondo i princìpi contabili internazionali i salari e gli stipendi vanno trattati come costi della produzione, non come investimenti. Nel caso “classico” di un lavoratore che produce un prodotto che poi viene venduto, in realtà cambia poco: sia che figuri come spesa sia come investimento, per calcolare il profitto la paga del lavoratore viene comunque sottratta al prezzo di vendita del prodotto. Dato che alla fine del mese il lavoro risulta “consumato” (prodotto venduto) ha senso considerarlo un costo.

E se invece l’azienda mandasse un dipendente a un corso di formazione di una settimana? Quei giorni di stipendio (più il prezzo del corso) vengono spesi per qualcosa che non viene “consumato” alla fine del mese, bensì rimane nella testa del dipendente negli anni a venire. Considerare i soldi spesi in formazione come un investimento sembra un’idea ragionevole, specialmente se viene fatto con un minimo di criterio… ma chi di voi ha mai visto la voce Formazione in uno stato patrimoniale?

Il management

Il punto della questione non è sindacare su come gli scribacchini dei reparti contabili debbano riportare le cifre al fisco o agli investitori, bensì è che i manager dovrebbero essere ben consapevoli degli investimenti aziendali sui propri dipendenti. Guardando solo i numeri sui bilanci qualcuno di loro potrebbe essere indotto a considerare il capitale umano come un costo affondato. I manager più spregiudicati potrebbero addirittura escogitare il modo di migliorare le performance nel breve periodo (a nessuno piacciono i trimestri negativi!) a scapito proprio di quel capitale e delle performance di lungo periodo).

I tagli al personale, i licenziamenti in tronco e le cosiddette “ristrutturazioni aziendali” sarebbero quindi da considerare ammissioni di colpa, se non addirittura di incompetenza, da parte del management. Ironicamente, quello che di solito succede nella realtà è che tutti i soldi risparmiati finiscono dritti nell’utile di esercizio (col segno positivo), gli azionisti sono contenti e i manager vengono osannati come guru, intascando pure un sostanzioso bonus sulle performance. Nessuno si sogna di far presente come tutto l’investimento sul personale, accumulato negli anni, venga praticamente gettato dalla finestra.

Mentre le aziende che ricorrono, più o meno spesso, a trucchetti del genere sono destinate a soffrire nel lungo periodo, quelle capaci di gestire adeguatamente i propri investimenti si troveranno invece avvantaggiate. In particolare, le aziende produttrici di “prestazioni intellettuali” (ad esempio quelle informatiche) dovrebbero rendersi conto che il capitale umano è l’investimento più importante. Le migliori al mondo evidentemente già lo fanno.